MEGLIO IL LEONE O L’ANTILOPE?

Bentornati!  
S’inizia il nuovo anno. Pronti? Via!
In queste mie ultime due settimane mi sono rimessa a scrivere per dei piccoli progetti che mi coinvolgono, più o meno, in prima persona. Uno di questi (dell’altro ve ne parlerò a suo tempo) è il reading di fine gennaio sul Tango (per saperne di più, visto che è un’iniziativa molto interessante vi lascio il link così potete dare un’occhiata:
Ve ne parlo perché mi è più facile affrontare un discorso un po’ spinoso, quindi abbiate pazienza che prima della fine del post ci capirete qualcosa.
Dunque: scrivere appositamente dei pezzi che devono essere letti ad alta voce (coordinandoli con musica e ballerini) è uno scrivere diverso. Devi seguire logiche leggermente più complicate e bilanciare diversamente parola/silenzio/musica per raggiungere un risultato il più vicino possibile al concetto di armonia.
Quindi è una sfida tosta.
Ormai lo so, ho già più volte sperimentato, e mi ci butto con la consapevolezza adeguata. Però…
E’ da qualche tempo che mi gira in testa un qualcosa che suona su per giù così:
“Prima ti fai conoscere scrivendo delle puttanate commerciali e poi potrai scrivere ciò che ti pare”.
E’ un consiglio che mi è stato dato in svariate occasioni da diverse persone ed è una frase che sento dire spesso da chi ha ambizioni letterarie.
Anzi, rettifico: da chi ha ambizioni in generale, a prescindere dalle proprie capacità, talento, qualità.
Ovviamente le mie non sono ambizioni di quel tipo. Ecco perché scrivo quello che scrivo e non ho mai seguito quel saggio consiglio.
Come dice una mia amica: 
“Non puoi chiedere al leone di fare l’antilope e all’antilope di fare il leone”.
(che può essere anche banale, ma si sposa un po’ con tutte le situazioni e mi sembrava ci stesse bene anche in questo caso)
Io non sono un’amante della narrativa all’acqua di rose. Sono una che nella mancanza di sostanza e di forma si annoia e molla. Non leggo un libro per il piacere di non ricordare ciò che ho letto (perché evidentemente non ne vale la pena) o per passare il tempo. Se leggo un libro lo faccio con la speranza di trovarci dentro qualcosa di buono, che mi piaccia, da tenere stretto e portare con me anche una volta che il libro è finito. Quella storia in qualche modo (e il modo lo sceglierà lei, ovviamente) deve restare con me.
Se così non è ho perso tempo.
Io odio perdere tempo.
Ho mille cose da fare e altri milioni di cose che voglio fare e già so che non avrò modo per fare tutto. Quindi il mio tempo è prezioso.
Se scelgo un libro, lo pago, impiego tempo e energie per leggermelo tutto e ci metto la mia attenzione e la buona predisposizione ad essere sedotta… tutto questo ha un prezzo.
Se scrivi puttanate io smetto di leggere e ti butto.
Dicesi “puttanate” le storie scritte in modo sciatto, che parlano di situazioni senza un minimo di mordente, del tutto prive di spessore e con uno spreco criminale dei luoghi comuni.
Personalmente mi vergognerei peggio di una ladra se scrivessi col proposito di produrre cose sciatte “alla portata di tutti” giustificando questo mio disimpegno con la convinzione che “chi mi leggerà non è in grado di distinguere un carciofo da una pera”.
Mortificante per me e per tutti.
Purtroppo quello che scrivo non sempre è leggero e gioioso. È un mio limite, lo so. Però scrivo con l’intento di essere poco comoda e poco tra le righe, perché così mi piace essere e così mi piace scrivere. Forse perché comunque sono così e non posso pretendere di essere diversamente.
Ecco perché anche nei reading che strutturo, scrivo e porto in scena è lo stesso. Non penso che chi mi sta donando la sua attenzione e il suo tempo merita cose sciatte “alla sua portata”. Penso che, invece, meriti il meglio che io posso dare. E sono sicura che sarà alla sua portata. 
Come potrebbe non esserlo? Mi chiamo forse Shakespeare?
Quindi, tanto vale dirlo subito, non seguirò neppure stavolta il saggio consiglio e scriverò ciò che voglio. E vediamo quanti ortaggi o applausi riceverò alla fine.
Dico questo perché vorrei che nessuno, ma proprio NESSUNO si proponesse ambizioni tali da dover scrivere puttanate piuttosto di impegnarsi a scrivere esattamente quello che vuole.
Lo vorrei anche perché così ci sarebbe più posto per le buone storie e le puttanate rimarrebbero invendute, perché (vi svelo un segreto) i lettori non vogliono leggere le puttanate. Anche chi legge un solo libro all’anno (forse lui/lei più di tutti) spera di trovare lì dentro qualcosa di buono che lo/la motivi a leggerne un altro e un altro ancora.
Il problema è che in un mercato editoriale dove le puttanate la fanno da padrone si è perso il metro, si sono persi i punti di riferimento e ci si confonde.
Il termine “commerciale” significa “che si vende facilmente”, ma non è sinonimo di “puttanata”.
La narrativa differisce dalla letteratura perché tende ad essere più agilmente fruibile (eviterei di farne una questione di “intelligenza” e proporrei l’opzione “gusti differenti”), ma questo non presuppone una qualità scadente e una gestione scellerata del mestiere di scrivere.
Io propongo un riposizionamento sulla faccenda, sia da parte di chi scrive che di chi legge.
Riprendiamoci la dignità che ci hanno sottratto in modo viscido (giocando sulla nostra pigrizia e faciloneria) e scegliamo della buona narrativa da leggere.
Riprendiamoci la dignità del mestiere, rimbocchiamoci le maniche, risistemiamo la nostra ambizione, un bello schiaffone sul coppino – la nuca – al nostro ego, e mettiamoci a scrivere una storia che valga la pena di essere letta.
Forse l’ho già detto, forse mi ripeto troppo, forse vi sto annoiando… ma non posso che essere quello che sono, una gran rompiballe, e quindi vi chiedo ancora e ancora e ancora…
Su la testa e olio di gomito: c’è da scrivere una Storia!
 
 
 (to be continued)

2 comments

  1. Ci sto provando, a furia di buffetti sul coppino. :))
    Dissento su un solo punto: sul fatto che la narrativa non sia letteratura.

    Maria Iervolino

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  2. Ci sono andata grossa, nel senso che parlando in generale si sacrificano i dettagli. Il confine letteratura-narrativa, a mio parere, per certi autori si confonde. Ci sono voci che vanno al di là di ogni possibile distinzione. A volte serve diversificare, specialmente quando la voce di un autore non è così densa e originale da poter arrivare a risultati letterari importanti.
    Ho voluto puntare l'attenzione sul concetto di “narrativa d'intrattenimento”, termine che detesto perché è diventato sinonimo di spazzatura. La Narrativa anche quando non arriva a livelli letterari sublimi ha Valore di per sé. Forse, ora, sono riuscita ad essere meno grossolana nell'esposizione del mio punto di vista (del tutto discutibile, ovviamente).
    Grazie Maria 🙂

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